16 apr 2021
Intervistiamo la nostra Neuropsichiatria Infantile, Valeria Tessarollo.
I disturbi mentali dell’età evolutiva sono in continua crescita da ben prima dell’emergenza COVID, dal 2011 ad oggi si è evidenziato un incremento del 50% delle richieste per visite neuropsichiatriche.
Ovviamente una situazione di emergenza come quella determinata dalla pandemia, con tutte le restrizioni ed i limiti alla libertà personale che si è portata dietro, non poteva che dare un’ulteriore spinta a questo trend.
Per quanto riguarda la mia esperienza, se nella prima fase ho osservato soprattutto un peggioramento del quadro clinico di pazienti già in carico ai servizi, in questa “seconda ondata” è stato più marcato il numero di nuovi accessi, per motivi che vanno dai sintomi psicosomatici alle sindromi ansioso-depressive, con tutti i comportamenti ad esse correlate compresi i gesti anticonservativi, l’ansia di separazione, i disturbi del ritmo sonno veglia, le difficoltà scolastiche e le dipendenze da device.
Questo è sostanzialmente in linea con i dati che si trovano in letteratura e che delineano un fenomeno ancora da comprendere ma sicuramente preoccupante.
Le ipotesi sono che il lockdown di marzo-aprile sia stato vissuto dai giovani in modo più leggero, con le vacanze estive più vicine e con l’aspettativa che si trattasse di un momento eccezionale ed a breve termine. I genitori stessi probabilmente avevano più risorse per supportare emotivamente i figli ed utilizzare il tempo “ritrovato” insieme in modo positivo.
Con l’autunno e nei mesi successivi, invece, le speranze di una fine rapida si sono dissolte, l’istituzione scolastica non ha saputo organizzarsi in modo efficiente per garantire una continuità nelle modalità di didattica né tanto meno tutelare i soggetti più fragili, la ripresa della DAD a fronte di uno Smart working meno generalizzato ha portato tanti giovani a passare ore e ore a casa da soli.
Parallelamente le preoccupazioni dei genitori relative non più solo alla salute ma alle conseguenze economiche sono cresciute, andando ad inficiare la loro disponibilità verso i figli.
Tutto questo ed altri fattori possono aver favorito l’emergere di quadri patologici per i quali vi era già una suscettibilità, giustificando l’ondata di richieste alla neuropsichiatria infantile.
I primi segnali di disagio possono essere comportamenti regressivi (ad esempio tornare a dormire nel letto dei genitori), la comparsa di fobie, una maggiore irritabilità, pianto o rabbia in situazioni di separazione dal caregiver, modificazione delle condotte di alimentazione, disinvestimento nella didattica, in generale ogni evidente e improvviso cambiamento del comportamento abituale.
Non si tratta necessariamente di segnali di allarme né sono sicuramente indicativi di una psicopatologia, in alcuni casi possono essere anche fasi normali della crescita che casualmente si verificano durante il COVID (ad esempio la paura del buio in un bambino in età prescolare) ma è bene comunque osservarli e mostrarsi recettivi, i bimbi spesso sanno dire qual è il problema, basta solo ascoltarli.
È molto importante cercare di stabilire una routine il più possibile stabile, nella quale siano prestabiliti i momenti di scuola (lezioni o compiti) ma anche una qualche scansione de tempo libero in modo da ridurre il più possibile i momenti di vuoto, facilmente colmabili con televisione e videogiochi.
Quest’ultimi non devono essere demonizzati, è normale per questi bambini rinchiusi in casa ricercare l’uso di videogiochi tanto più che ormai costituiscono un mezzo per restare in qualche modo in contatto con gli amici tramite il gioco online, ma è importante che vengano regolamentati fin da subito in modo rigido, onde evitare che la situazione sfugga al controllo del genitore.
Può essere utile inserire nella giornata una sorta di “obiettivo felice”, qualcosa di bello da fare insieme oppure coinvolgere il bambino in piccole faccende domestiche, presentate in modo positivo, a seconda dell’età, come forma di responsabilizzazione o come un gioco. Sicuramente poi è importante cercare di mantenere gli orari della normale routine, in particolare l’orario per andare a dormire.
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