Il termine “acufene” o “tinnito”, più comunemente noto come “fischio all’orecchio” si riferisce alla percezione di un suono (fischio, ronzio, pulsazione o altro) in assenza di una sorgente sonora esterna.
Questo disturbo viene classificato in base alla sua persistenza: si parla di acufene persistente se la condizione dura oltre sei mesi, mentre viene definito recente se la durata è inferiore.
Anche l’intensità di questi “ronzii” sono importanti per valutarne la condizione. Infatti, gli acufeni possono essere percepiti a diversa intensità sonora (forte, debole), diversa frequenza (acuti, gravi) e localizzati ad uno o ad entrambe le orecchie.
Gli acufeni oggettivi si riferiscono a quei casi in cui il suono percepito deriva effettivamente da una sorgente fisica vicina all’orecchio. Questi possono includere il “fischio” causato dal flusso del sangue nelle vicinanze (conosciuto come acufene vascolare o pulsatile), disfunzioni della tuba uditiva, contrazioni spontanee dei muscoli nell’orecchio medio, o rumori prodotti dall’articolazione temporo-mandibolare durante movimenti come la masticazione, che possono generare dei click chiaramente rilevabili.
Più di tre milioni di persone in Italia convivono con l’acufene, un disturbo che si manifesta come un costante fischio o rumore nelle orecchie. Recenti ricerche indicano che il 6.2% degli adulti italiani sperimenta questa condizione, con una percentuale che scende al 4.8% per gli acufeni che durano più di tre mesi. Ma, solo l’1.2% delle persone riferisce che l’acufene incide significativamente sulla propria qualità di vita, trasformandosi in un problema serio per oltre 600,000 individui.
L’acufene, contrariamente a quanto si pensi, non è un disturbo che colpisce solo gli adulti; può manifestarsi anche nei bambini. Alcuni studi suggeriscono che i bambini non udenti possano esperire l’acufene con maggiore frequenza rispetto agli adulti che presentano lo stesso tipo di perdita uditiva. Le reazioni all’acufene, tuttavia, variano notevolmente tra bambini e adulti.
Mentre alcuni bambini potrebbero non segnalare affatto l’acufene, pensando che sia semplicemente un suono naturale del loro corpo, altri possono esibire segni di nervosismo o difficoltà di concentrazione senza una spiegazione apparente. È insolito che un bambino parli spontaneamente del suo acufene; di solito, questi casi vengono identificati solo quando ai bambini viene specificamente chiesto se percepiscono suoni interni alla testa o agli orecchi. Questa differenza nel riconoscimento e nella comunicazione dell’acufene sottolinea l’importanza di un’attenta osservazione e di un dialogo aperto con i più giovani riguardo alla loro esperienza uditiva.
Trattandosi perlopiù di un sintomo soggettivo e pertanto non documentabile in maniera obiettiva, la diagnostica clinica potrà essere proposta solo nel bambino collaborante, in genere di età maggiore dei 5-6 anni.
L’acufene può essere sospettato da un esperto audiometrista che, nel corso di un esame audiometrico, potrebbe scoprire che il bambino, pur essendo collaborante, riferisce di percepire un suono anche quando, in realtà, l’esaminatore non ha inviato nessun suono oppure dall’otorinolaringoiatra che attraverso una visita accurata è in grado di stabilire se il bambino o l’adulto presentano tale condizione.
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